Francesco Paolo Bruno SULLE ALI DI UN SOGNO di Luigi Bruno Goodbye, Franco Tutto ciò che vive ricerca un
mondo migliore.
Dedicato a:
Jeanne Milligan Dewees
Bob Woyciehwsky
David Grove
Alberto Cipollina
ed a tutti gli amici di
Francesco Paolo Bruno
in America e nel mondo, i quali
hanno visto avverare il suo sogno.
Luigi Bruno
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Premessa
Non è facile trasformare un sogno in realtà, quel sogno che viene inseguito per tanto tempo e che, a volte, come un’ombra insegue chi tenta tale trasformazione.
Non bastano parole per spiegare quanta determinazione occorra per la su realizzazione e quale è il confine tra sogno e realtà, per fare capire agli altri come ci si sente e come si vive quando non si riesce a sbloccare quel sottile punto di collegamento.
E’ comunque certo che è difficile realizzare una traslazione a causa della difficile decifrazione del sogno e la sua collocazione nella vita reale.
E’ difficile, anche, seguire il suo itinerario e cercare di capirne il senso.
In tutto questo è evidente che chi insegue un sogno impegna totalmente la propria esistenza alla sua realizzazione alla sua realizzazione correndo i rischi conseguenti.
Il primo ed unico sogno di Francesco Paolo Bruno (Franco) è stato quello americano.
Non è facile spiegare i momenti vissuti da Franco al perseguimento ed al coronamento del suo "American Dream", un sogno che valeva tutta la vita ed in cui ha creduto fin dalla più tenera età, per molti anni, fintanto che è riuscito a realizzarli.
Sto cercando di raccontare la sua storia per fare sapere a quanti inseguono un loro sogno come Franco realizzò il suo ed a parenti ed amici per farlo ricordare.
Luigi Bruno
A San Francisco, California, al n. 1600 di Stockton Street, all’incrocio con la Union Street e di fronte a Washington Square, vi è Malvina, ristorante bar, il cui proprietario, fino al 25 giugno 1995, data della sua morte, è stato Francesco Paolo Bruno.
Ma chi era Francesco Paolo Bruno.
Farne la biografia è difficile perché vi sono molti aspetti che non sono di facile interpretazione, considerando la movimentata ed interessante vita che ha vissuto e la capacità di inserimento che ha avuto in un mondo che non era il suo.
La sua vera storia, una bella storia, infinitamente bella, merita di essere raccontata.
Inizia in giovane età, quando cioè incominciò a sognare l’America:
In queste pagine saranno riportati i momenti più salienti di questa vita avventurosa che lo ha portato a conseguire il suo sogno.
Le sue corrispondenze con la famiglia e quanto mi raccontava personalmente quelle volte in cui ci siamo incontrati in Italia ed a S.Francisco, gli articoli apparsi su giornali e riviste americani, i quali davano la misura della crescita del suo sogno, nonché quella parte di vita vissuta insieme durante la nostra adole-scenza, sono serviti quali fonti per potere raccontare questa storia e quale punto di preciso riferimento per offrire uno spaccato della sua vita.
Ancora giovane, dopo avere vissuto una parte del periodo dell’ultima guerra in un collegio, mentre era apprendista meccanico, raccontava ai suoi compagni di lavoro fantastiche storie nelle quali gli elementi principali erano rappresentati dalla vita e dai personaggi americani, che lui non conosceva ma che riusciva ad "inventare" attraverso la sua fervida immaginazione.
Quello era il duro periodo del nostro dopoguerra durante il quale il fascino ed il desiderio di una vita migliore ed anche spensierata, dopo tanti sacrifici, attraeva la nostra gioventù.
Sessantacinque anni di vita non sono bastati a Franco per fargli portare a termine i suoi programmi e per completare la realizzazione, come era sempre stato nel suo desiderio, del suo grande sogno.
- Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno
Credo che la mola sia scattata in lui verso i suoi 14 anni; la nostra famiglia era "sfollata" a Siena a causa della guerra, quando decise di andare a lavorare presso un presidio militare americano che, come tanti altri, si era insediato in città e dove la sua capacità organizzativa, la sua forza di volontà e la sua caparbietà lo portarono ad intessere amicizia con i soldati ed in particolare con un sergente, il quale, notate tali capacità, lo prese a ben volere e gli propose di seguire il comando a Firenze, dove era stato trasferito per un immediato rientro negli stati Uniti, per poi fargli tentate il grande salto oltremare. L’intervento categorico dei nostri genitori lo dissuase dal fargli accettare tale proposta.
Una volta che andai a trovarlo a S.Francisco mi raccontò di avere incontrato, dopo tanti anni, quel sergente con il quale scambiò alcune battute, dopo un festoso riconoscimento, per poi perderne le tracce.
Terminata la guerra, al nostro rientro a Trapani, la sua prima preoccupazione fu quella di mettersi in contatto con nostro zio Nicholas (Nicolino) Bruno il quale risiedeva in Monroe Louisiana da molti anni e che aveva sempre mantenuto contatti con la nostra famiglia.
Attraverso le sue corrispondenze e le sue fotografie, nonché con l’invio di tanti pacchi dono che rappresentavano, in quei momenti difficili, un grande vantaggio, e che davano, nel contempo, la misura della ricchezza esistente in quel paese, l’idea di Franco per un mondo migliore gli creò una più forte determinazione.
Le difficoltà di trovare un lavoro lo spingevano ancor più a chiedere alo zio Nick di inviargli il tanto agognato "atto di richiamo.
Le leggi americane del tempo, però, non consentivano facilmente immigrazioni dall’Italia. nonostante ciò non si arrese.
Il suo desiderio si acuì ancor più al ritorno di nostra zia Caterina (Titì) Bruno dalla Louisiana dove, nel 1950, si era recata per fare visita al fratello Nick.
I suoi racconti sul modo di vivere della famiglia del fratello rispondevano all’idea che Franco si era fatto su quel mondo pieno di risorse e di benessere.
Cosa poteva fare?
Intanto i continui contatti con il Consolato Usa di Palermo lo gettavano in uno stato di prostrazione che lo spingevano a non impegnarsi in alcuna attività che potesse rappresentare il suo futuro in Italia.
Si rivolse, allora, alla Ambasciata america a Roma, la quale, pur continuando a negare la possibilità di immigrazione sulla scia di quanto detto dal Consolato di Palermo, lo mise, nel 1955, con un organismo il War Relief Service – NCWC, che in base al Refugee act del 1953, si interessava a casi come quello di Franco. Si aprì, così, un nuovo spiraglio.
Fitta corrispondenza, documenti, curriculum, notizie sulla situazione della famiglia e sul fatto che a causa della guerra era stata costretta ad andare via dalla Tunisia dove nostro padre lavorava, incominciarono a fare la spola tra Trapani e Roma.
L’orizzonte incominciò a schiarirsi e lo zio Nick diede tutto il suo incondizionato appoggio e, finalmente, il tanto agognato "visto", fu concesso. Scattarono quindi i preparativi per la partenza.
Nel febbraio del 1956, a 26 anni di età, Francesco Paolo (Franco) Bruno partì in aereo da Roma per raggiungere lo zio Nick in Louisiana.
Al suo arrivo, dopo un periodo di ambientazione, si rese conto di trovarsi in una realtà diversa dalla nostra; non conosceva la lingua, fatto questo che gli creava delle grandi difficoltà per capire la gente e per cercare quello che avrebbe potuto fare in quell’ambiente, inoltre ciò determinava anche la scarsa possibilità di trovare lavoro.
Comunque non si scoraggiò proprio perché quello era l’inizio del suo sogno, perché era abituato a lavorare duro ed intensamente e perché aveva imparato a sue spese a risolvere da solo i problemi della vita, tra l’altro era rimasto responsabile della nostra famiglia in quanto nostro padre era morto poco tempo prima.
Dalle suecorrispondenze si evince che il primo contatto con la realtà americana è stato oltremodo difficile. Iniziò subito a cercare contatti per uscire da questa situazione che, a parer suo, non gli dava spiragli per il suo avvenire. Una persona gli offrì del lavoro in Florida ed uno zio della fidanzata gli offrì la possibilità di trasferirsi in California.Da una sua lettera dell’11 maggio 1956 si rileva tutta la sua delusione e che l’amarezza è sconfinata;dopo un primo periodo di ambientamento riuscì a comprendere che la Louisiana non poteva rappresentare la base per il conseguimento del suo sogno. Fatta la scelta, accettò la proposta: decise di fare il grande salto, di correre il rischio di un’altra avventura che poco si addiceva alle condizioni di incertezza in cui si trovava e partì per San Francisco.
L’arrivo in tale città gli creò un grande entusiasmo, una grande frenesia di fare, un convincimento che quello era il luogo ideale per il suo futuro. Due giorni dopo scrisse di essere arrivato e si può notare una ripresa psicologica ed un maggior conforto per la possibilità di trovare lavoro.
Però le difficoltà furono immense. Dopo il lavoro, il primo dei quali fu abbastanza duro, andava a scuola per potere imparare la lingua e dove incontrava tanti giovani italiani nelle sue stesse condizioni e con i quali legò rapporti di amicizia che durarono tutta la vita. Le su capacità lo indussero a cercare e trovare un lavoro più qualificato che gli consentì, dopo il primo anno di permanenza, di tornare in Italia per sposare la fidanzata, la quale lo poté raggiungere l’anno successivo.A questo punto, si può ben dire, sentiva di avere trovato il "luogo" ideale in cui gettare le basi per fare divenire il suo sogno una realtà viva e palpitante.
La nascita di Marina e poi di Flavia incominciò a creare i problemi connessi ad una famiglia da sostentare. Le risorse erano ancora poche anche se bastevoli a mantenere un discreto tenore di vita.
La sua mente erra alla ricerca di quel qualcosa che avrebbe dovuto fargli risolvere tutti i suoi problemi. Trovò lavoro presso una ditta di carni insaccate ed anche in questa occasione dimostrò la sua capacità ed una volontà tali da farsi avanti ed essere apprezzato, tanto che gli vennero fatte delle proposte di lavoro allettanti per migliorare le sue condizioni economiche. Sarebbe stato, comunque, sempre alle dipendenze di altri in un lavoro che non avrebbe lasciato spazio alla sua esigenza di fare di più.
Non si sentiva soddisfatto della condizione di lavoro, per quanto allettante, e da una routine di vita che gli creava particolari stati di abbattimento; voleva lavorare per conto proprio per misurare le sue capacità.
Gli mancavano, però, i fondi per intraprendere una qualsiasi attività individuale e nel contempo le sue preoccupazioni aumentavano, sentiva di non essere stato capace di realizzare qualcosa, e questo fatto lo preoccupava sempre di più, gli faceva acquisire un maggior complesso di pensieri e di aspirazioni che sarebbero diventati, poi, parte essenziale della sua vita interiore.
Uno spiraglio gli fu aperto dall’incontro negli anni ’60 con un italoamericano (Furneri, mi pare) con il quale aprì, al 1429 di Stockton Street, dove adesso si trova il Ristorante Firenze, un negozio, il North Beach Bazar, per la vendita di oggetti casalinghi, occasione questa che gli diede la possibilità di imparare, a suo rischio e pericolo, a gestire una attività commerciale vera e propria, con mentalità e modalità diverse da quelle italiane.
Fu un duro apprendistato . I grandi empori, forniti di tutto, rappresentavano una concorrenza spietata sia per la qualità che per la quantità delle merci che per i prezzi, anche se l’importazione diretta di alcuni prodotti italiani gli davano un certo respiro per la novità e per la qualità.
Anche quello fu un periodo abbastanza duro, certo riusciva a mantenere la famiglia, ma non riusciva ad uscire da una situazione che lo stava soffocando e che lo riconduceva nella condizione di chi non aveva ancora realizzato nulla.
Nel frattempo, però, i suoi rapporti interpersonali con la gente dell’ambiente che frequentava aumentavano e si affinavano le sue qualità commerciali. La nascita di Roberto lo colse in un particolare stato cioè quello di dovere fare di più, di volere sbloccare definitivamente una situazione di stallo che lo rendeva sempre più ansioso ed esigente con se stesso.In quel periodo (Luglio 1965) ebbi l’occasione di andarlo a trovare a San Francisco e rendermi conto della situazione in cui si trovava, dei suoi progetti dai quali si evinceva una esigenza assoluta di giungere a mete più alte.I contatti epistolari con noi erano intensi: ci raccontava tutto quanto accadeva e nelle sue lettere era evidente uno stato ansioso sulla realizzazione dei suoi progetti.
Franco, frastornato, gli disse di non potere fornire garanzie per tale deposito e gli chiese il perché di tanta fiducia nei suoi confronti; Pasquini rispose semplicemente che si fidava, egli così si rese subito conto che il suo momento era arrivato; accettò, quindi, di tenere le macchine in deposito.
Scattò subito in lui una grande frenesia, pensò bene che se avesse voluto vendere delle macchine da caffè italiane, per entrare in un così grande mercato, avrebbe dovuto, innanzi tutto, conoscerne le funzioni e come, eventualmente ripararle.
A questo punto è bene ricordare che Franco, in Italia, aveva lavorato come radio riparatore e come elettricista e quindi tali competenze ed una naturale predisposizione gli consentivano una migliore visione dei problemi tecnici attinenti le macchine. L’altra parte della serata la dedicava alla visita a bar e ristoranti della città nei tentativi di fare capire l’importanza di una macchina da caffè italiana; tali tentativi, come era prevedibile, nei primi tempi furono infruttuosi. Non vi era ancora una mentalità in favore del caffè italiano e per i particolari congegni di tali macchine nonché per i costi relativi che lasciavano perplessi i titolari dei bar e dei ristoranti.
La stanchezza e la minore attenzione dedicata alla sua attività primaria lo fecero preoccupare, si avvicinava ad una svolta importante della sua vita e doveva prendere una decisione.
Nel corso delle sue visite ebbe l’incarico dal proprietario del Malvina Coffee di Grant Street, all’incrocio con Union Street, di fare sapere che tale bar era in vendita.
Poté assistere personalmente al movimento giornaliero delle attività del bar e dopo essersi reso conto di come funzionavano le cose, la sua mente selettiva gli consigliò di approfittare subito di questa occasione. Lo scoglio maggiore da superare era quello del reperimento dei fondi per il pagamento della transazione: in questo gli venne incontro il venditore stesso che gli propose il pagamento rateale. In uno stato semi-confusionale, ma con la certezza di addentrarsi ancor più in quell’itinerario che aveva, da sempre sognato di percorrere, decise di assumere questo nuovo impegno che lo doveva fare uscire definitivamente da una impasse che durava da circa 15 anni.
- Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno -
L’inizio di questa nuova attività lo mise nella condizione di dovere liquidare North Beach Bazar, faccenda questa che durò parecchi mesi e che assieme alla attività vera e propria del bar, alla vendita delle macchine da caffè ed alla loro riparazione gli rese la vita molto dura; sempre di corsa nel tentativo di migliorare le cose facendo nel contempo un’ottima esperienza.
- Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno -
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F I N E