Sulle ali di un sogno

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Copertina del Libro Sulle ali di un sogno di Luigi Bruno

 

Francesco Paolo Bruno

SULLE ALI DI UN SOGNO

di Luigi Bruno 

Goodbye, Franco

Tutto ciò che vive ricerca un

mondo migliore.

Karl Popper

 

Dedicato a:
Jeanne Milligan Dewees
Bob Woyciehwsky
David Grove
Alberto Cipollina
ed a tutti gli amici di
Francesco Paolo Bruno
in America e nel mondo, i quali
      hanno  visto avverare il suo sogno.
                 
                                                Luigi Bruno    

 

Premessa

Non è facile trasformare un sogno in realtà, quel sogno che viene inseguito per tanto tempo e che, a volte, come un’ombra insegue chi tenta tale trasformazione.
Non bastano parole per spiegare quanta determinazione occorra per la su realizzazione e quale è il confine tra sogno e realtà, per fare capire agli altri come ci si sente e come si vive quando non si riesce a sbloccare quel sottile punto di collegamento.
E’ comunque certo che è difficile realizzare una traslazione a causa della difficile decifrazione del sogno e la sua collocazione nella vita reale.
E’ difficile, anche, seguire il suo itinerario e cercare di capirne il senso.
In tutto questo è evidente che chi insegue un sogno impegna totalmente la propria esistenza alla sua realizzazione alla sua realizzazione correndo i rischi conseguenti.
Il primo ed unico sogno di Francesco Paolo Bruno (Franco) è stato quello americano.
Non è facile spiegare i momenti vissuti da Franco al perseguimento ed al coronamento del suo "American Dream", un sogno che valeva tutta la vita ed in cui ha creduto fin dalla più tenera età, per molti anni, fintanto che è riuscito a realizzarli.
Sto cercando di raccontare la sua storia per fare sapere a quanti inseguono un loro sogno come Franco realizzò il suo ed a parenti ed amici per farlo ricordare.

                                                                                                                       Luigi Bruno

 

 - Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno -
 

A San Francisco, California, al n. 1600 di Stockton Street, all’incrocio con la Union Street e di fronte a Washington Square, vi è Malvina, ristorante bar, il cui proprietario, fino al 25 giugno 1995, data della sua morte, è stato Francesco Paolo Bruno.
Ma chi era Francesco Paolo Bruno.
Farne la biografia è difficile perché vi sono molti aspetti che non sono di facile interpretazione, considerando la movimentata ed interessante vita che ha vissuto e la capacità di inserimento che ha avuto in un mondo che non era il suo.
La sua vera storia, una bella storia, infinitamente bella, merita di essere raccontata.
Inizia in giovane età, quando cioè incominciò a sognare l’America:
In queste pagine saranno riportati i momenti più salienti di questa vita avventurosa che lo ha portato a conseguire il suo sogno.
Le sue corrispondenze con la famiglia e quanto mi raccontava personalmente quelle volte in cui ci siamo incontrati in Italia ed a S.Francisco, gli articoli apparsi su giornali e riviste americani, i quali davano la misura della crescita del suo sogno, nonché quella parte di vita vissuta insieme durante la nostra adole-scenza, sono serviti quali fonti per potere raccontare questa storia e quale punto di preciso riferimento per offrire uno spaccato della sua vita.
Ancora giovane, dopo avere vissuto una parte del periodo dell’ultima guerra in un collegio, mentre era apprendista meccanico, raccontava ai suoi compagni di lavoro fantastiche storie nelle quali gli elementi principali erano rappresentati dalla vita e dai personaggi americani, che lui non conosceva ma che riusciva ad "inventare" attraverso la sua fervida immaginazione.
Quello era il duro periodo del nostro dopoguerra durante il quale il fascino ed il desiderio di una vita migliore ed anche spensierata, dopo tanti sacrifici, attraeva la nostra gioventù.
Sessantacinque anni di vita non sono bastati a Franco per fargli portare a termine i suoi programmi e per completare la realizzazione, come era sempre stato nel suo desiderio, del suo grande sogno.


- Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno

Credo che la mola sia scattata in lui verso i suoi 14 anni; la nostra famiglia era "sfollata" a Siena a causa della guerra, quando decise di andare a lavorare presso un presidio militare americano che, come tanti altri, si era insediato in città e dove la sua capacità organizzativa, la sua forza di volontà e la sua caparbietà lo portarono ad intessere amicizia con i soldati ed in particolare con un sergente, il quale, notate tali capacità, lo prese a ben volere e gli propose di seguire il comando a Firenze, dove era stato trasferito per un immediato rientro negli stati Uniti, per poi fargli tentate il grande salto oltremare. L’intervento categorico dei nostri genitori lo dissuase dal fargli accettare tale proposta.
Una volta che andai a trovarlo a S.Francisco mi raccontò di avere incontrato, dopo tanti anni, quel sergente con il quale scambiò alcune battute, dopo un festoso riconoscimento, per poi perderne le tracce.
Terminata la guerra, al nostro rientro a Trapani, la sua prima preoccupazione fu quella di mettersi in contatto con nostro zio Nicholas (Nicolino) Bruno il quale risiedeva in Monroe Louisiana da molti anni e che aveva sempre mantenuto contatti con la nostra famiglia.
Attraverso le sue corrispondenze e le sue fotografie, nonché con l’invio di tanti pacchi dono che rappresentavano, in quei momenti difficili, un grande vantaggio, e che davano, nel contempo, la misura della ricchezza esistente in quel paese, l’idea di Franco per un mondo migliore gli creò una più forte determinazione.
Le difficoltà di trovare un lavoro lo spingevano ancor più a chiedere alo zio Nick di inviargli il tanto agognato "atto di richiamo.
Le leggi americane del tempo, però, non consentivano facilmente immigrazioni dall’Italia. nonostante ciò non si arrese.
Il suo desiderio si acuì ancor più al ritorno di nostra zia Caterina (Titì) Bruno dalla Louisiana dove, nel 1950, si era recata per fare visita al fratello Nick.

I suoi racconti sul modo di vivere della famiglia del fratello rispondevano all’idea che Franco si era fatto su quel mondo pieno di risorse e di benessere.
Cosa poteva fare?
Intanto i continui contatti con il Consolato Usa di Palermo lo gettavano in uno stato di prostrazione che lo spingevano a non impegnarsi in alcuna attività che potesse rappresentare il suo futuro in Italia.
Si rivolse, allora, alla Ambasciata america a Roma, la quale, pur continuando a negare la possibilità di immigrazione sulla scia di quanto detto dal Consolato di Palermo, lo mise, nel 1955, con un organismo il War Relief Service – NCWC, che in base al Refugee act del 1953, si interessava a casi come quello di Franco. Si aprì, così, un nuovo spiraglio.
Fitta corrispondenza, documenti, curriculum, notizie sulla situazione della famiglia e sul fatto che a causa della guerra era stata costretta ad andare via dalla Tunisia dove nostro padre lavorava, incominciarono a fare la spola tra Trapani e Roma.
L’orizzonte incominciò a schiarirsi e lo zio Nick diede tutto il suo incondizionato appoggio e, finalmente, il tanto agognato "visto", fu concesso. Scattarono quindi i preparativi per la partenza.
Nel febbraio del 1956, a 26 anni di età, Francesco Paolo (Franco) Bruno partì in aereo da Roma per raggiungere lo zio Nick in Louisiana.

Ritaglio di un gionale americanoAl suo arrivo, dopo un periodo di ambientazione, si rese conto di trovarsi in una realtà diversa dalla nostra; non conosceva la lingua, fatto questo che gli creava delle grandi difficoltà per capire la gente e per cercare quello che avrebbe potuto fare in quell’ambiente, inoltre ciò determinava anche la scarsa possibilità di trovare lavoro.
Comunque non si scoraggiò proprio perché quello era l’inizio del suo sogno, perché era abituato a lavorare duro ed intensamente e perché aveva imparato a sue spese a risolvere da solo i problemi della vita, tra l’altro era rimasto responsabile della nostra famiglia in quanto nostro padre era morto poco tempo prima.
Dalle suecorrispondenze si evince che il primo contatto con la realtà americana è stato oltremodo difficile. Iniziò subito a cercare contatti per uscire da questa situazione che, a parer suo, non gli dava spiragli per il suo avvenire. Una persona gli offrì del lavoro in Florida ed uno zio della fidanzata gli offrì la possibilità di trasferirsi in California.Da una sua lettera dell’11 maggio 1956 si rileva tutta la sua delusione e che l’amarezza è sconfinata;dopo un primo periodo di ambientamento riuscì a comprendere che la Louisiana non poteva rappresentare la base per il conseguimento del suo sogno. Fatta la scelta, accettò la proposta: decise di fare il grande salto, di correre il rischio di un’altra avventura che poco si addiceva alle condizioni di incertezza in cui si trovava e partì per San Francisco.
L’arrivo in tale città gli creò un grande entusiasmo, una grande frenesia di fare, un convincimento che quello era il luogo ideale per il suo futuro. Due giorni dopo scrisse di essere arrivato e si può notare una ripresa psicologica ed un maggior conforto per la possibilità di trovare lavoro. 

Però le difficoltà furono immense. Dopo il lavoro, il primo dei quali fu abbastanza duro, andava a scuola perannuncio sul giornale potere imparare la lingua e dove incontrava tanti giovani italiani nelle sue stesse condizioni e con i quali legò rapporti di amicizia che durarono tutta la vita. Le su capacità lo indussero a cercare e trovare un lavoro più qualificato che gli consentì, dopo il primo anno di permanenza, di tornare in Italia per sposare la fidanzata, la quale lo poté raggiungere l’anno successivo.A questo punto, si può ben dire, sentiva di avere trovato il "luogo" ideale in cui gettare le basi per fare divenire il suo sogno una realtà viva e palpitante.
La nascita di Marina e poi di Flavia incominciò a creare i problemi connessi ad una famiglia da sostentare. Le risorse erano ancora poche anche se bastevoli a mantenere un discreto tenore di vita.
La sua mente erra alla ricerca di quel qualcosa che avrebbe dovuto fargli risolvere tutti i suoi problemi. Trovò lavoro presso una ditta di carni insaccate ed anche in questa occasione dimostrò la sua capacità ed una volontà tali da farsi avanti ed essere apprezzato, tanto che gli vennero fatte delle proposte di lavoro allettanti per migliorare le sue condizioni economiche. Sarebbe stato, comunque, sempre alle dipendenze di altri in un lavoro che non avrebbe lasciato spazio alla sua esigenza di fare di più.
Non si sentiva soddisfatto della condizione di lavoro, per quanto allettante, e da una routine di vita che gli creava particolari stati di abbattimento; voleva lavorare per conto proprio per misurare le sue capacità. 


 

 - Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno 

Gli mancavano, però, i fondi per intraprendere una qualsiasi attività individuale e nel contempo le sue preoccupazioni aumentavano, sentiva di non essere stato capace di realizzare qualcosa, e questo fatto lo preoccupava sempre di più, gli faceva acquisire un maggior complesso di pensieri e di aspirazioni che sarebbero diventati, poi, parte essenziale della sua vita interiore.
Ritaglio di giornaleUno spiraglio gli fu aperto dall’incontro negli anni ’60 con un italoamericano (Furneri, mi pare) con il quale aprì, al 1429 di Stockton Street, dove adesso si trova il Ristorante Firenze, un negozio, il North Beach Bazar, per la vendita di oggetti casalinghi, occasione questa che gli diede la possibilità di imparare, a suo rischio e pericolo, a gestire una attività commerciale vera e propria, con mentalità e modalità diverse da quelle italiane.
Fu un duro apprendistato . I grandi empori, forniti di tutto, rappresentavano una concorrenza spietata sia per la qualità che per la quantità delle merci che per i prezzi, anche se l’importazione diretta di alcuni prodotti italiani gli davano un certo respiro per la novità e per la qualità.
Anche quello fu un periodo abbastanza duro, certo riusciva a mantenere la famiglia, ma non riusciva ad uscire da una situazione che lo stava soffocando e che lo riconduceva nella condizione di chi non aveva ancora realizzato nulla.
Nel frattempo, però, i suoi rapporti interpersonali con la gente dell’ambiente che frequentava aumentavano e si affinavano le sue qualità commerciali. La nascita di Roberto lo colse in un particolare stato cioè quello di dovere fare di più, di volere sbloccare definitivamente una situazione di stallo che lo rendeva sempre più ansioso ed esigente con se stesso.In quel periodo (Luglio 1965) ebbi l’occasione di andarlo a trovare a San Francisco e rendermi conto della situazione in cui si trovava, dei suoi progetti dai quali si evinceva una esigenza assoluta di giungere a mete più alte.I contatti epistolari con noi erano intensi: ci raccontava tutto quanto accadeva e nelle sue lettere era evidente uno stato ansioso sulla realizzazione dei suoi progetti.

Un giorno, come mi raccontò poi, un italoamericano di Los Angeles (Pasquini) entrò nel suo negozio e gli chiese se era possibile lasciare in deposito alcune macchine da caffè di produzione italiana, in quanto per sua esigenza non intendeva riportarle a Los Angeles. Continuando nel suo discorso, Pasquini lo autorizzava a verderle e così avrebbe potuto riconoscergli una percentuale.
Franco, frastornato, gli disse di non potere fornire garanzie per tale deposito e gli chiese il perché di tanta fiducia nei suoi confronti; Pasquini rispose semplicemente che si fidava, egli così si rese subito conto che il suo momento era arrivato; accettò, quindi, di tenere le macchine in deposito.
Scattò subito in lui una grande frenesia, pensò bene che se avesse voluto vendere delle macchine da caffè italiane, per entrare in un così grande mercato, avrebbe dovuto, innanzi tutto, conoscerne le funzioni e come, eventualmente ripararle.
A questo punto è bene ricordare che Franco, in Italia, aveva lavorato come radio riparatore e come elettricista e quindi tali competenze ed una naturale predisposizione gli consentivano una migliore visione dei problemi tecnici attinenti le macchine. L’altra parte della serata la dedicava alla visita a bar e ristoranti della città nei tentativi di fare capire l’importanza di una macchina da caffè italiana; tali tentativi, come era prevedibile, nei primi tempi furono infruttuosi. Non vi era ancora una mentalità in favore del caffè italiano e per i particolari congegni di tali macchine nonché per i costi relativi che lasciavano perplessi i titolari dei bar e dei ristoranti.
La stanchezza e la minore attenzione dedicata alla sua attività primaria lo fecero preoccupare, si avvicinava ad una svolta importante della sua vita e doveva prendere una decisione.
Le sue fatiche furono premiate, le richieste da parte dei bar e dei ristoranti incominciarono a diventare numerose anche perché egli offriva le macchine in prova suggerendo le modalità per pubblicizzare il nuovo prodotto ed assicurava la sua assistenza tecnica per le eventuali riparazioni che sarebbero state effettuate al di fuori delle ore di lavoro, praticamente di notte.
Nel corso delle sue visite ebbe l’incarico dal proprietario del Malvina Coffee di Grant Street, all’incrocio con Union Street, di fare sapere che tale bar era in vendita.
 
Foto del Negozio
Pur parlando in giro nessuno era particolarmente interessato ed allora il proprietario di   Malvina Coffee propose a lui l’acquisto. Tale proposta suscitò in Franco delle grosse reazioni, delle titubanze e delle preoccupazioni; l’idea di immettersi in una attività del tutto sconosciuta e la mancanza di fondi diventarono i temi conduttori di una battaglia interiore che lo spinsero a dover riflettere per decidere in tempi molto brevi.
Poté assistere personalmente al movimento giornaliero delle attività del bar e dopo essersi reso conto di come funzionavano le cose, la sua mente selettiva gli consigliò di approfittare subito di questa occasione. Lo scoglio maggiore da superare era quello del reperimento dei fondi per il pagamento della transazione: in questo gli venne incontro il venditore stesso che gli propose il pagamento rateale. In uno stato semi-confusionale, ma con la certezza di addentrarsi ancor più in quell’itinerario che aveva, da sempre sognato di percorrere, decise di assumere questo nuovo impegno che lo doveva fare uscire definitivamente da una impasse che durava da circa 15 anni.

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Foto interni del negozio con affresco su parete

 
L’inizio di questa nuova attività lo mise nella condizione di dovere liquidare North Beach Bazar, faccenda questa che durò parecchi mesi e che assieme alla attività vera e propria del bar, alla vendita delle macchine da caffè ed alla loro riparazione gli rese la vita molto dura; sempre di corsa nel tentativo di migliorare le cose facendo nel contempo un’ottima esperienza.

 

Manifesto con schizzo del negozio
 
Nel Malvina Coffee, che aveva mantenuto, dopo l’acquisto, la precedente denominazione, vi era, tra l’altro, una vecchia macchina a tamburo rotante per la torrefazione del caffè.Ciò significò che tutta l’attività sarebbe stata improntata su 4 differenti momenti: l’attività vera e propria del bar, la torrefazione e la vendita del caffè, la vendita e la riparazione delle macchine da caffè, la liquidazione di North Beach Bazar, nei quali il suo ritmo di lavoro era divenuto intenso, frenetico e a volte insostenibile. La sua tenacia lo mise nelle condizioni, sempre con grandi sacrifici, di avviare e di mantenere organicamente tutte queste attività ottenendo ottimi risultati.La sua giornata di lavoro iniziava alle 5 del mattino per finire alle 8 di sera ed a volte più tardi, superando anche le 18 ore giornaliere. Una volta, mi raccontò, lo stress al quale si era sottoposto per lungo tempo gli aveva fatto dimenticare tutto, compresa la sua identità.
 
In questo particolare periodo, era il 1971, nostra madre, ammalata di cuore, volle raggiungerlo a San Francisco, dove, purtroppo, morì senza avere potuto gustare i risultati conseguiti dal figlio. Tale triste evento lo prostrò per un lungo periodo di tempo.
Da Grant Street, dove lo spazio era limitato, il 2 giugno 1974, decise di trasferire l’attività al 512 di Union Street, in un locale più ampio disposto su tre livelli. Il trasferimento avvenne con la collaborazione di tutti i clienti del bar i quali erano riconoscenti dei rapporti che Franco aveva saputo creare con loro. Il suo motto fu "Where other Shops Shop".

 
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Foto
 
Di quelle "epiche" giornate, a memoria della storia di un bar, di un quartiere (North Beach) e di una città, è rimasta, fortunatamente, una memoria fotografica.
Intanto le richieste di macchine da caffè e di caffè torrefatto cominciavano a pervenire, a ritmo sempre più intenso, da tutta la baia di san Francisco ed a volte da zone più lontane. Diventò un operare frenetico, realizzato con intelligenza, con amore e con tante idee da sviluppare nel futuro.
 
 
Fu un periodo particolare sotto tutti gli aspetti durante il quale si creò un affiatamento, che durò sempre, tra Franco e le persone che frequentavano il bar, il quale diventò luogo di incontro di artisti, pittori, poeti e fotografi ai quali veniva dato spazio intellettuale per potersi incontrare: tracce di quel periodo furono alcuni quadri, fotografie e disegni con la sua effige, che fu immortalata anche sulla copertina del romanzo, "Death Fires", disegnata dal suo amico David Grove.Perché il suo non era un semplice bar: era un punto di incontro aperto a correnti di pensiero, un po’ come alcuni famosi bar "letterari" italiani in cui la gente poteva discutere le proprie idee, alle quali veniva dato spazio per potersi incontrare.
Foto di Francesco Bruno e Peter Macchiorini
La continua presenza di artisti, in un periodo in cui nel mondo si sviluppava la contestazione civile, rese possibile la divulgazione del modus vivendi di Franco. Non a caso realizzò, il 30 agosto 1978, l’apertura del Museo Italo-Americano con la collaborazione dell’Archeo Club. L’acquisto in Italia di una macchina per la torrefazione del Caffè di grande portata ed i contatti con le industrie italiane costruttrici di macchine da caffè lo misero nella condizione di assumere una visione più ampia del mercato internazionale del caffè e quindi creare uno sviluppo più organico della sua attività ed un mercato di ampie dimensioni invadendo la baia di san Francisco che a quel tempo era ancora aperta a tutte le iniziative (anni ’70). I suoi contati diretti con le industrie italiane gli consentirono ancora di più un maggiore sviluppo. Iniziò i suoi viaggi in Europa alla ricerca di macchine di vario genere e di mobili di arredamento per bar e ristoranti e nei paesi asiatici alla scoperta di nuovi mercati nei quali potere avviare aziende analoghe alla sua e per offrire la sua consulenza tecnico-organizzativa ormai richiesta da operatori di diversi paesi.

 - Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno
manifestoDurante i suoi viaggi coglieva l’occasione per venire a casa oppure ci incontravamo in qualche città italiana, proprio per potere stare un po’ assieme. Ed intanto nella sua mente si faceva strada, dopo tanti approcci in Polonia, Germania, Giappone, Russia, Corea e Spagna, l’idea che era venuto il momento che il suo sogno si sarebbe potuto continuare in tali paesi.
Durante questo importante momento della sua vita ebbi l’opportunità di andarlo a trovare a San Francisco con tutta la famiglia (1975); ebbi così l’occasione di rendermi conto del grande balzo in avanti che aveva fatto.
Stavamo continuamente a parlare di come era riuscito a conquistarsi tutto questo spazio e la possibilità di realizzare grandi cose.
Il processo per il raggiungimento del "Sogno americano", iniziato in maniera quasi banale, semplicistica, in sordina ed in modo inconsapevole stava dando i suoi primi risultati.
Non può essere esagerato affermare che in quel periodo Franco fu il pioniere del caffè italiano nella baia di San Francisco.
Nel 1978 ebbi una ulteriore occasione di andare a San Francisco e mi resi conto che il lavoro svolto, lo avvicinava ancora di più al suo sogno.
Si sentiva parte integrante di una città che lo aveva accolto, ne rispettava tutte le manifestazioni e quando poteva vi partecipava. Il 20 agosto 1986 volle partecipare alla manifestazione del 50° anno della costruzione del Golden Gate Bridge e quando me ne parlò mi fece intendere che anche quello è stato un modo per dimostrare un particolare affetto per la città che gli aveva dato tanto.
Ritaglio di giornale
A partire da quel momento tutta la sua attività fu improntata alla ricerca di mercati senza con questo trascurare, in loco, la possibilità di offrire un prodotto che potesse soddisfare le esigenze delle varie etnie.
Per questo collaborò alla fondazione della Camera di Commercio italiana di North Beach attraverso la quale gli operatori commerciali di San Francisco poterono intessere rapporti più immediati con le aziende italiane.L’itinerario del suo sogno americano prese le mosse da Stockton Street per approdare a Grant Street, a Union Street e per tornare a Stockton Street dove si trasferì a seguito del rincaro degli affitti contro il quale ingaggiò una grande battaglia in favore dei piccoli commercianti della zona, diventando così il leader della difesa dei loro diritti. Una battaglia combattuta attraverso la stampa della quale viene riportata una ampia documentazione.
Quest’ultimo trasferimento gli consentì un maggiore impulso e la necessità di realizzare al 1411 di Minnesota Street, in spazi maggiori, l’impianto per la torrefazione del caffè e l’officina per la riparazione delle macchine, anche se ciò lo costrinse ad una continua spola tra il centro e la periferia della città.
L’acquisto di uno stabile al 1489 di Folsom Street avrebbe potuto rappresentare il raggiungimento più completo e totale dei risultati di un lavoro intenso ed oculato sviluppato in tutti questi anni.
 
Un insieme di circostanze, compreso l’ultimo terremoto, gli impedirono di realizzare il grande ristorante che si era prefisso; non potè allargare l’attività di vendita delle macchine da caffè, dovette ridimensionare l’attività di torrefazione. Un momento difficile anche dal punto di vista familiare che non gli consentì di fare più di quanto aveva fatto fino a quel momento.
Le sue idee ed i suoi sogni, però, non si fermarono.

 
 - Sulle ali di un sogno - di Luigi Bruno -
Aveva, ormai, acquisito la grande capacità di guardare dentro le persone e le cose e di sapere cogliere al volo tutte le occasioni che gli capitavano, aveva affinato tali capacità e aveva capito come intessere rapporti commerciali e sociali.
Fu considerato un amico da parte di tanta gente, era sempre a disposizione di quanti avessero bisogno di lui: fu definito il "filosofo Sicilia". Rimase la stella indiscussa del mondo di North Beach, semplice, modesto, onesto, natura non tanto aperta, non era appariscente, ma con un cuore generoso. Al primo contatto con la gente si rendeva conto di avere di fronte una persona con un forte carisma.
 
"Le sue caratteristiche furono la tenerezza, la generosità ed una simulata severità di un patriarca italiano".
Continuava a mantenere ed intessere rapporti a livello internazionale. Le alterne vicende lo trovavano sempre pronto a combattere ed a cercare di realizzare nuove attività, lo vedevano instancabile su tutti i fronti, fin quando arrivò la triste notizia del male incurabile che lo avrebbe portato ben preso alla fine.
Avevo programmato un viaggio a San Francisco per la primavera del 1995, ma alla notizia della gravità della malattia, ho anticipato tale viaggio a gennaio.
 Foto di Francesco Bruno
 
In quella occasione si siamo dedicati tutte le giornate e tutti i momenti. Nonostante il progredire della malattia ed i controlli in ospedale siamo stati assieme come non mai negli ultimi 40 anni. Parlare del passato e del futuro, parlare dei suoi progetti e delle persone è stata, forse, la medicina migliore ad una sorte già scontata. Siamo stati in giro per musei, ristoranti, a Las Vegas, proprio per lenire un immenso dolore interiore incontro al quale stavamo entrambi andando consapevoli dei limiti di tempo che ci erano consentiti.
Una mattina ci siamo seduti su una panchina di Washington Square, proprio di fronte al 1600 di Stockton Street con un panino ed una bottiglia di acqua minerale per gustare in quei pochi momenti tutto il nostro passato, per potere parlare come se tutto fosse normale.
Era rassegnato al suo destino ma molto mal disposto, perché non avrebbe potuto realizzare i suoi programmi. Ripeteva: "peccato avevo tanti altri progetti".
E’ difficile però immaginare quali fossero il suo vero stato d’animo e le sue angosce, per quanto grande fosse il suo tormento, per quanto fosse consapevole del suo destino, le sue attività restavano al centro della sua attenzione; sveglia alle ore 6,00 del mattino per iniziare alle ore 7,00 una giornata lavorativa che sarebbe terminata alle ore 6,00 ed anche alle ore 8,00 del pomeriggio senza concedersi alcun intervallo.
 
Comunque non si arrese.
 
Voleva rivedere la sua terra natia e nel giugno del 1995 andai a riceverlo a Parigi dove siamo rimasti per alcuni giorni durante i quali vedevo sempre più aggravare la sua malattia senza emettere un lamento e senza dimostrare la sua vera sofferenza. Come digressione ai momenti di dolore, nel tentativo di combattere contro lo sconforto che via via ci stava prendendo entrambi, andammo anche al Moulin Rouge.
Ormai era ai minimi termini, debilitato fisicamente; da Parigi ci trasferimmo a Trapani dove dopo alcuni giorni fu ricoverato in ospedale.
Parlava continuamente dei suoi figli. Decidemmo allora per il suo ritorno a San Francisco. Il figlio Roberto ci venne incontro a Roma per potere avere la possibilità di parlargli ancora. Morì non appena rientrato a casa, in quella San Francisco che lui adorava e dove lui aveva potuto realizzare il suo sogno.
Provai un grande bisogno di non credere alla sua scomparsa.
Il Consiglio della Città di San Francisco, durante una seduta, gli ha tributato un minuto di raccoglimento a riconoscimento della sua attività e della sua capacità di aver saputo curare gli interessi della comunità in cui aveva operato per tanto tempo.
Ora riposa nel Woodlawn Cemetery, Colma, California, nella terra di quella grande America che tanto aveva sognato ed aveva amato; sta lì nell’erba, sotto un grande albero; la lapide oscura fa risaltare la sua fotografia identica a quella che è stata collocata sulla tomba di famiglia a Trapani.Annuncio mortuario
Ebbe sempre una predilezione per il Campari. Xavier, il marito della figlia Flavia, come atto di estremo omaggio, ne ha messo una bottiglia dentro la bara, mentre la nipote Olivia ha voluto aggiungere un suo orecchino per dimostrare, con questo semplice gesto, tutto il suo affetto e quello di tutti i nipoti, nei confronti del nonno.
Nel gennaio del 1996 sono andato a far visita alla sua tomba nel Woodlawn Cemetery assieme a mio figlio Riccardo ed alla famiglia di suo figlio Roberto per mantenere, nonostante la sua morte, saldo il legame tra le nuove generazioni della famiglia Bruno.
La storia non finisce qui, perché a questo punto non è più la storia soltanto di una persona, è la storia di una istituzione, che scaturita da un sogno, è divenuta una realtà e la cui continuità, nel rispetto di quel sogno, è stata affidata nelle mani di Roberto Luigi Bruno che assume così la responsabilità della eredità di quei valori che per più di 40 anni hanno fatto di Francesco Paolo Bruno un uomo rispettato ed amato.
 
Il nuovo motto è "One of North Beach’s Original Coffehouse e gli articoli che seguono segnano, quindi, l’inizio di una nuova era.
 
                                                                   F I N E
 
Tratto dal libro "Francesco Paolo Bruno  - Sulle ali di un sogno" di Luigi Bruno
 
Finito di stampare nel maggio del 1997 - Cartogram - Trapani 
Pubblicazione sul sito autorizzata dall' autore  -  @Copyright - tutti i diritti sono riservati.
 
Si ringrazia per la gentile concessione.